Luis Sepulveda, l’autore cileno ci ha lasciato oggi per causa covid19.
Il Terra di Siena International Film Festival lo ricorda.

Luis Sepulveda: un omaggio all'autore cileno

Luis Sepulveda: un omaggio all’autore cileno.

Lo saluta il giornalista Riccardo Jannello così:

Ognuno di noi che ha amato e continuerà ad amare Luis Sepulveda sia come scrittore sia come uomo politico – perché lo è stato anche senza entrare in parlamenti e governi e perché ha lottato sul campo, subito torture e carcere, difeso fino in fondo e con onestà intellettuale cristallina la lotta al totalitarismo in nome del suo comunismo militante – ha un suo titolo che lo lega allo scomparso scrittore cileno, icona di una generazione che ha attraversato come lui le più drammatiche vicissitudini sociali del Novecento e oltre.

Il mio titolo è “Un nome da torero”, quella che è stata la prima lettura di Sepulveda, dopo la quale sono tornato a ritroso per riprendere dal suo imprescindibile esordio – avvenuto a 40 anni -, ”Il  vecchio che leggeva romanzi d’amore”, che fu già un successo esplosivo che lo fece acclamare come una delle maggiori voci della contemporaneità. “Un nome da torero” (1994, in Italia l’anno dopo) è un affascinante viaggio nella mente umana e nella perfidia del potere impegnato a nascondere le memorie e i ricordi per ammutolire la società. Un viaggio anche fisico, di quelli che piacevano a Sepulveda. Juan Belmonte, che porta il nome di un famoso torero,  protagonista del romanzo, insegue da Berlino alla Terra del Fuoco un tesoro che è scomparso nel Cile appena tornato alla democrazia. Un tesoro che apre le coscienze sulla libertà e sulla memoria,  su ciò che è stata la dittatura Pinochet, che Sepulveda ha combattuto in prima fila (era alla Moneda quando venne ucciso Allende e fu catturato dagli squadroni del colonnello) anche dalle galere dove è stato torturato. Ma Belmonte insegue anche il sogno di un amore: ritrovare nel suo viaggio, braccato da uno spietato agente dei servizi segreti della Germania orientale, la donna che lo aveva reso felice. Un thriller politico, ma anche un atto d’amore per il suo Paese – del quale aveva ripreso la cittadinanza solo nel 2017 – e un meraviglioso romanzo di viaggio, come lo saranno “Patagonia Express” o “La frontiera scomparsa” che dimostrano la capacità che Sepulveda ha sempre avuto di indagare non solo sulle persone, ma anche sui luoghi.

Preso dall’amore immediato per “Un nome da torero”, giocavamo con un collega e amico appassionato di cinema su come lo avremmo trasposto sul grande schermo, scherzando sull’acquisto dei diritti d’autore e sul volto del protagonista, che secondo me sembrava tracciato sulla figura di Ed Harris. Un gioco che si fa solo dei romanzi che entrano dentro, si attaccano alla pelle e diventano tatuaggi, come canta Chico Buarque.

Ora che Sepulveda se n’è andato, bisognerà riprendere in mano le sue opere, di qualsiasi genere, perché in ognuna Sepulveda ha saputo dare tutto se stesso e fornirci letture di assoluto ingegno. Così come nelle favole, e “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” ne è l’esempio più eclatante, ma anche negli altri generi, compresa la pubblicistica storica e di attualità che Sepulveda ha continuato a produrre anche con autori italiani come Bruno Arpaia o Carlo Petrini, legato come era al nostro Paese dall’amore per la nostra letteratura e i nostri personaggi, considerando fra l’altro Tonino Guerra un maestro. “Raccontare, resistere”, prendendo il titolo dal saggio scritto con Arpaia, è una lezione che dobbiamo tenere bene in mente, lui che lo ha fatto fino al festival letterario di Povoa de Varzim, dove ha contratto il virus che è stato più terribile di Pinochet. Ed è tutto dire.